Recensione: “Finestra vista mare” di Rivero
Sette storie, mille emozioni, un solo luogo: Cuba.
“Finestra vista mare” di Ariel Fonseca Rivero, edito Ensemble Edizioni, vi farà immergere in una lontana, quanto possibilmente vicina, realtà.
“Finestra vista mare è un po’ questo. Ogni racconto è come una finestra aperta dalla quale si può respirare l’odore della salsedine ma anche il fetore di putrido portato dal mare, ci si può rilassare ascoltando e ammirando la quiete delle sue acque, o anche essere spaventati dalle onde agitate della tormenta. Dunque è un mare che per alcuni rappresenta una protezione, per altri una prigionia.”
-“Finestra vista mare”; Ariel Fonseca Rivero. Intervista con l’autore.
In un paese ci sono diverse città. In ognuna di esse, una moltitudine di case. Ed è lì dentro, dietro a ciascuna finestra, dietro alla singola porta, che pulsa il cuore di quella città. Di quel paese.
Perché, quel cuore, sono i suoi abitanti.
Un microcosmo composto da centinaia di volti, migliaia di emozioni, infiniti desideri. Talvolta sfuggente, sembra quasi non esistere. Si rinchiude tra le mura domestiche, cela i suoi problemi al vicinato, tace sui dolori che prova. Eppure è sempre lì. È vivo e batte furiosamente, in pulsazioni che accelerano di minuto in minuto, perché per quanto sia certo di non voler farsi notare, in realtà grida aiuto.
L’eco disperato lanciato in silenzio non giunge sempre alle orecchie dei soccorritori. Per questo molti credono che non ci sia, che vada tutto bene. Eppure, quell’urlo è stato gettato fuori, vola e si disperde nell’aria. Se si presta attenzione, se si aguzzano tutti i sensi, allora è semplice percepirlo. Lui si manifesta attraverso il riflesso di quel microcosmo da cui è stato lanciato.
Si manifesta attraverso la città.
Il macrocosmo non può scindersi da ciò che ne costituisce le fondamenta e, al contempo, il frutto. Esso è genitore e figlio, è creato e crea. E se coloro che lo popolano gioiscono, piangono, sognano o soffrono, allora i segni che questi lasceranno li avrà anche lui.
E allora basta aprire la “Finestra vista mare” e affacciarsene dentro e fuori per notare che il mondo cubano è tanto nelle sue strade, nelle sue onde, tanto negli occhi dei suoi cittadini.
Dignità. Cosa siamo disposti a fare?
“Insicuri per la città, le grandi vetrine catturano i loro sguardi. E sognano di avere soldi a sufficienza per comprare quella camicia azzurra che a Jorge starebbe così bene, o quel detergente che a Cintia servirebbe tanto per lavare il bagno, o magari quella bambola sullo scaffale di desta che Dayani guarda con insistenza… Comprare tutto ciò che vedono, ma che non possono permettersi.”
-“Finestra vista mare”; Ariel Fonseca Rivero.
Apriamo la prima finestra e diamo un’occhiata all’interno.
Un soffitto che perde pezzi, un pavimento malandato, pareti che si sgretolano con un soffio. Non è niente male quella casa, impossibile negarlo. No, niente male…
Eppure, a una seconda analisi, una un po’ più attenta, salta fuori qualcos’altro. C’è una famiglia, lì dentro. Una donna, un uomo. E, incredibilmente, anche una bambina.
Cosa ci fa lì una bambina?
Era davvero il caso di far nascere una creatura tanto fragile in un posto che rischia di crollare sulla sua testa?
Cintia e Jorge se lo sono chiesto. E nonostante la povertà, nonostante i soldi non bastassero nemmeno per riparare quell’abitazione diroccata, hanno preso la loro decisione.
Dayani doveva esserci. La loro splendida figlia è stato il loro più grande tesoro, la luce delle loro giornate fredde, l’amore che li riscalda con i propri sorrisi.
Ma non basta. Tutta quella meraviglia, purtroppo, non basta.
Non perché la piccola cresca sana. Non perché la piccola cresca.
E, dunque, cosa si fa?
Quando ogni oggetto in vendita, quando ogni prodotto per lavare, quando persino il nuovo paio di scarpine che a Dayani servono tanto costano troppo…
Cosa si fa?
Si scava dentro sé stessi, ci si ritrova in balia di una marea di domande e, alla fine, ci si imbatte nella propria dignità. Ed è allora che agli infiniti dubbi se ne sostituisce uno. Uno soltanto.
Quanto si è disposti a fare per il bene di chi si ama?
Così, tanto per dire. Festeggiamo il nostro anniversario?
“Era così bello quando ti presentavi con i girasoli o imparavi a memoria le poesie di Buesa, di Heredia e me le recitavi mentre mi baciavi dappertutto. Facevamo l’amore fino allo sfinimento. Ma non è durata molto. Poi sono diventata io quella che doveva […] piangere in silenzio la mia impotenza o riesaminare i lividi che mi lasciavano il tuo “amore” e il tuo “rispetto”.”
-“Finestra vista mare”; Ariel Fonseca Rivero.
Vicine, lontane, isolate, agglomerate. Sono davvero tante le case a Cuba.
Impieghiamo molto tempo per passare con il nostro occhio scrutatore su ognuna di esse, in silenzio. Ma non ci limitiamo solo a osservare. Aguzziamo anche l’udito, e ascoltiamo.
Un telefono che squilla, tristi sospiri, un castello di carte che crolla. E poi, tonfi sulla porta.
Quell’ultimo rumore ci colpisce, ci strattona e ci richiama. Smettiamo di vagare e scendiamo come un ombra sul luogo da cui proviene il fragore. Acuiamo i sensi che avevamo sopito e notiamo una donna che sbatte i pugni sulla porta d’ingresso di un’abitazione. Chiama sua figlia.
Perché nessuno risponde?
La figlia è in casa, lo sappiamo. Sente sua madre che le chiede di aprirle, eppure non si muove. È ferma, immobile, sembra priva di vita. Eppure non lo è. Tutt’altro. La donna sorride, si sente bene ed è libera. È il giorno del suo anniversario di matrimonio e non potrebbe stare meglio.
Il suo caro Pablo è lì con lei. Quell’uomo di cui si era perdutamente innamorata, che l’aveva fatta sentire una regina. Che l’aveva corteggiata, riempita di baci e promesse. È lì, eppure non lo è.
No, perché non è lo stesso uomo di allora. È cambiato, ha sostituito le percosse alle carezze, gli insulti ai complimenti. È cambiato, sì, però è ancora lì, insieme a lei.
Ma allora perché né lui né sua moglie rispondono ai tonfi sulla porta?
“Finestra vista mare” – macro e microcosmo cubani
“Io preferisco raccontare la violenza silenziosa, quella che non si vede a occhio nudo. Le persone pensano che i comportamenti violenti siano riconducibili solo alle percosse e ai segni che lasciano, ma dimenticano che quei segni poi spariscono dalla pelle, a differenza delle grida, dell’umiliazione, del silenzio, che invece rimangono lasciando in eredità dolore e ferite profonde, le cui cicatrici durano per sempre.”
-“Finestra vista mare”; Ariel Fonseca Rivero. Intervista con l’autore.
È facile supporre di conoscere ogni cosa di chi ci circonda gettandogli addosso un rapido sguardo. I suoi lineamenti, il guizzo nei suoi occhi, il tremito nelle sue membra. Crediamo di poter interpretare tutto ciò, di capire. Se una persona è triste o felice, se è appagato o meno dalla sua vita, siamo certi che si legga tramite il suo involucro esterno. Tramite il suo corpo e le sue movenze.
Ne siamo assolutamente convinti, eppure, ci sbagliamo di grosso.
Oltre la pelle, al di là dei muscoli, superate le ossa, c’è un intero mondo. È ben protetto, difficile da penetrare se non ci viene lasciato libero l’accesso. Ed è lì che si nasconde la verità.
Ogni ferita, ogni gioia, ogni ricordo lieto o infausto, è lì che si trova.
Vorremmo poter avere una chiave universale per accedervi, soprattutto con le persone a noi care. In questo modo, forse, potremmo aiutarle se necessitano aiuto. Oppure, potremmo godere con loro per ciò che le rende gaie.
Ma la realtà è che una chiave universale non esiste. E nemmeno una per il singolo individuo.
Dovremmo arrenderci?
È il caso di ignorare tutto ciò, fingere che non esista?
Forse. O forse potremmo trovare un’altra strada. Potremmo lasciar perdere la porta d’ingresso, ignorare la voglia di avere una chiave, e dirigere la nostra attenzione ai muri esterni della loro casa. Perché è lungo quei muri che troviamo accessi che spesso vengono sottovalutati. È lì che ci sono le finestre.
E a volte basta anche una sola finestra per scoprire il mondo al di là di essa.
Stile di scrittura
La quotidianità che rende serene le nostre vite, spesso, ci porta a dimenticare che non tutti hanno la nostra stessa fortuna. Per quanti problemi possiamo avere, ci sono alcune realtà davvero difficili da sopportare e che, purtroppo, sono all’ordine del giorno per certe persone. Ecco perché leggere risulta tanto importante.
Attraverso i libri i nostri orizzonti si ampliano, le nostre conoscenze si moltiplicano e le nostre menti si mettono in moto. Non siamo davanti a semplici storie, mai. Quando i nostri occhi entrano in contatto con le parole degli autori, vanno ben oltre la pagina scritta su cui esse sono adagiate. Ed è tramite viaggi del genere che siamo portati a riflettere, a capire che il mondo è molto più vasto e complesso di quanto sembra.
“Finestra vista mare” è proprio uno di quei libri. Una raccolta di sette racconti che non mirano a narrare meri avvenimenti, ma che puntano a smuovere l’animo del lettore. Ariel Fonseca Rivero ci mostra diverse facce di Cuba, chiarendoci il fatto che macro e microcosmo sono strettamente legati e che l’anima di un luogo risiede tanto in esso quanto in coloro che lo popolano.
Lo stile di scrittura dell’autore, diretto e coinciso, fa emergere chiaramente i messaggi che vuole mandarci. È grazie a esso che sono riuscita ad apprezzare l’opera, perché solitamente preferisco leggere romanzi piuttosto che racconti brevi. Eppure, tra la maestria di Rivero nel trasportare su carta i suoi pensieri e tra le storie profonde che troviamo nel libro, “Finestra vista mare” non può lasciare indifferenti!
Vi piacciono le raccolte di racconti?
Allora dovreste recuperare “Finestra vista mare” su Amazon o sul sito della casa editrice Ensemble!
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Buona lettura, non smettete mai di lottare per la vostra serenità.