Recensione: “Giufà o l’origine del tempo perso”
La clessidra si frantuma, tutto va in pezzi: è “Giufà o l’origine del tempo perso“, di Giuseppe Staiti, e vi trascinerà in un vortice di miti e bizzarrie!
“Era stato uno scambio: aveva barattato la sua rispettabilità con la libertà, e presto ne diventò assuefatto. Allora nell’ebbrezza prese a chiedersi quanto avrebbe potuto perdere ancora per arrivare all’essenziale. Come se volesse fare spazio buttando via il superfluo, per capire con la mancanza, cosa gli fosse necessario e cosa no.”
-“Giufà o l’origine del tempo perso”; Giuseppe Staiti.
Tiepidi correnti e fresche brezze ci accarezzano mentre solchiamo i cieli. Come draghi maestosi, sbattiamo le nostre immense ali e assaporiamo il gusto della libertà. Sotto di noi, infinite distese d’acqua e di terra si susseguono una dopo l’altra, mostrandosi in tutta la loro bellezza. Poi, d’un tratto, qualcosa attira la nostra attenzione.
Planiamo per metterlo a fuoco, e più scendiamo, più lo vediamo brillare.
È una splendida pepita d’oro.
Tocchiamo il suolo e ritiriamo le nostre ali per avvicinarci a quell’incredibile tesoro. Lo scrutiamo, lo bramiamo. E, alla fine, lo possediamo. È nostro, nessuno ce lo porterà via. Ma, ecco che, poco più in là, un frammento di diamante fa la sua comparsa. I suoi riflessi catturano i nostri occhi e, con un agile balzo, facciamo nostra anche quella meraviglia.
Per ogni minuto che passa, sempre più gemme emergono dal terreno, e noi non smettiamo di accumularle. Pian piano il nostro tesoro cresce, fino a diventare mastodontico. Siamo esaltati, certi che solo noi possediamo una tale ricchezza. Ecco perché ci posizioniamo sopra di essa e non ci muoviamo più, pronti a difenderla da qualsiasi ladro.
Un giorno, però, alziamo lo sguardo verso il cielo, ed è allora che i ricordi tornano. In quel preciso istante ripensiamo a quando volavamo felici tra le nuvole, a quando il vento ci accarezzava il volto e a quando il nostro bene più prezioso non era un ammasso di scintillanti pietre, ma la nostra libertà.
Una grande nostalgia si impossessa di noi e se osserviamo i diamanti, gli zaffiri, le pepite d’oro, non proviamo più niente. Non ci fanno più gola. E allora capiamo che è arrivato il momento di lasciare andare il superfluo, di spogliarci di tutto. E di tornare a volare.
Il protagonista di “Giufà o l’origine del tempo perso” attua lo stesso ragionamento, ed è così che l’avventura ha inizio.
Giufà e i suoi nuovi punti di vista
“Giufà era una persona responsabile e puntuale. Non il più rispettato, o il più pagato, o il più affermato copywriter dell’agenzia pubblicitaria in cui era impiegato da sempre. Ma sicuramente il più dedito al lavoro.”
-“Giufà o l’origine del tempo perso”; Giuseppe Staiti.
Era una giornata come le altre quella in cui Giufà ruppe il tempo.
Ebbene sì, un semplice e anonimo ragazzo quale che era Giufà finì per compiere un’azione tanto devastante. O meglio, lui non fece niente. Ma proprio niente.
E fu quella l’origine di tutto.
Scapolo e con una professione niente male da copywriter, Giufà possedeva una casa, un’auto e conduceva una vita piuttosto monotona. Ogni mattina si recava da Gianni, il giornalaio, comprava il quotidiano e via, a lavorare. Tutto molto rapido, preciso, quasi robotico. Lo era così tanto che per Giufà non esisteva la possibilità che qualcosa potesse cambiare all’improvviso nella sua routine quotidiana.
Ovviamente si sbagliava.
Fu proprio da Gianni che ebbe inizio la fine del tempo.
Bastò un attimo, una piccola distrazione, che Giufà perse le sue chiavi. Dritte dentro un tombino, non potevano essere recuperate in alcun modo. E così, tutto in una volta, ciò che possedeva sparì inghiottito dalla strada.
Che fare, dunque? Giufà non aveva più niente.
Eppure… In realtà no, possedeva ancora qualcosa. Possedeva i suoi vestiti, il poco denaro che aveva dietro, la carta di credito, la fame, il sonno… Il tempo. Ma dopo aver iniziato a perdere, Giufà non riusciva più a smettere di farlo. E allora decise che persa una cosa, doveva perderle tutte.
Persino il tempo.
Amici e nemici, tematiche profonde nascoste tra i miti siciliani
“C’è un labirinto più grande e più spaventoso attorno a te, dal quale cerchi di evadere da sempre, con tutti i tuoi mezzi e le tue invenzioni. Perfetto, proprio perché non l’hai ideato tu. Eppure basterebbe solo un aiuto dall’esterno, qualcuno che venga a prenderti, segnando la strada con un filo di lana magari, e unendo le forze si riuscirebbe a trovare una via d’uscita.
Se solo avessi il coraggio di chiedere aiuto.”
-“Giufà o l’origine del tempo perso”; Giuseppe Staiti.
Che l’avventura di Giufà – e del mondo intero – ebbe inizio in maniera assai stravagante, non c’è dubbio. Che continuò in modo ancora più assurdo, invece, non era affatto scontato.
Stupito e stordito da ciò che i suoi gesti – e la sua scelta di non far assolutamente nulla per “perdere” il tempo – comportarono, Giufà si vide costretto a prendere parte a tutta una serie di eventi a cui, però, non era affatto interessato. Lui voleva solo essere lasciato in pace, voleva perdere, e basta.
Ma allora perché, una dopo l’altra, figure sempre più strambe e particolari si piazzavano sul suo cammino?
Dedalo, Minosse, Ferrazzano, Cocalo.
Non c’era fine agli incontri. Ognuno con la sua storia, con i suoi problemi, con i suoi dilemmi esistenziali, incastravano le loro vite con quelle di Giufà e lui non poteva farci nulla. Così, impossibilitato da fare altrimenti, il giovane si lasciò trasportare dalla corrente.
Dopotutto, con il tempo fuori controllo, che altro gli restava?
“Giufà o l’origine del tempo perso” – leggende rivisitate e temi antichi
“A dispetto di tutto però aveva portato avanti la sua ricerca sottrattiva: aveva perso la dignità, l’individualità, la fame, il sonno, la libertà, eppure ancora continuava ad avere quella spiacevole sensazione di portarsi dietro troppo peso, cosa poteva esserci ancora?
“Magari il tempo” pensò.”
-“Giufà o l’origine del tempo perso”; Giuseppe Staiti.
Giorno dopo giorno, accumuliamo inutilità con grande attenzione. Riempiamo le nostre vite di niente, eppure ci sentiamo incredibilmente pesanti. Sì, perché il superfluo pesa, e tanto.
Ecco perché Giufà decide di liberarsene.
Perditempo per eccellenza, Giufà si spoglia di ogni cosa, ben intenzionato a non fermarsi fino a quando non ci sarà riuscito del tutto. Eppure, questo suo progetto non avrà delle ripercussioni solo su se stesso, ma sul mondo intero. Sarà a causa sua, infatti se il tempo si romperà.
E con esso, ogni cosa.
Avendo dato il via a una catastrofe involontaria, Giufà s’imbatterà in bizzarri personaggi mentre seguirà il cammino che le sue azioni hanno generato. Si troverà alle prese con il tremendo commissario Minosse, finirà trincerato in un castello sotto assedio, fuggirà a bordo di un elicottero insieme a personaggi tirati fuori dalla tradizione siciliana. Non avrà un attimo di tregua. E quando gli sembrerà di aver finalmente trovato il posto perfetto per riposare e non pensare più al finimondo che ha provocato, tutto si stravolgerà ancora una volta.
Perché non è Giufà a cercare i guai, sono loro a braccarlo senza pietà.
Stile di scrittura
Un granello dopo l’altro, la sabbia del tempo scorre inesorabile. Porta avanti il mondo, lo fa evolvere e progredire. Ma fa anche perire le sue creature, per portarne di nuove alla luce. È così, e sempre lo sarà.
Oppure no?
Con “Giufà o l’origine del tempo perso”, Giuseppe Staiti ci pone davanti a situazioni surreali e al limite del possibile, che con la loro assurdità mirano a farci riflettere. Cominciando dal protagonista, infatti, l’autore modella il personaggio della tradizione siciliana Giufà e lo veste con nuovi panni, impregnandolo di domande esistenziali. Sono queste che mettono in moto l’intera vicenda, e che ci seguiranno per tutto il racconto.
Man mano che la trama si srotola davanti ai nostri occhi – ma solo apparentemente, perché in realtà diventa sempre più ingarbugliata – facciamo la conoscenza di nuove figure, tutte tratte dai miti e dalle leggende della Sicilia. Vederle contestualizzate nella storia scritta da Staiti, che già si era cimentato nell’impresa con la sua opera “La risalita di Colapesce”, è interessante e divertente. Si vede quanto l’autore abbia approfondito le tematiche e i soggetti, quanto gli stia a cuore raccontarli. Già solo per questo, i suoi libri meritano davvero di essere letti!
L’unica pecca che mina un po’ la godibilità del testo è un mancato ulteriore giro di editing. Indubbiamente è stato fatto, eppure ci sono alcune parti in cui le frasi sono troncate e portate a capo, oppure mancano di punteggiatura finale. Ciò non toglie il fatto che vi consiglio sicuramente di accostarvi alla lettura di questo libro!
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Buona lettura, che possiate sempre distinguere ciò che ha davvero valore dal superfluo.