Recensione: “Fiabe Islandesi” – radici antiche
Se state cercando una dolce fiaba della buonanotte in “Fiabe Islandesi” non la troverete: avventura e creature mostruose balzeranno fuori dalle pagine!
“Orsù, cantate, cigni miei,
che Hlini destare vorrei.
Orsù, cantate, cigni miei,
che Hlini all’istante assopirei.”
-“Fiabe Islandesi”; Iperborea.
A nord del mondo, vicino ad una terra ghiacciata, esiste un’isola.
Fiumi di acqua e di lava si alternano in un paesaggio naturale in cui, da molti secoli ormai, l’uomo si è stabilito. Questi ha fondato le proprie città al fianco di verdi pianure e infinite distese rocciose, convivendo con la presenza di maestosi geyser.
Tale natura incontaminata ben si è offerta di ospitare la nostra specie, ma l’ha messa a dura prova.
Vulcani, forti correnti d’acqua, clima rigido.
Non è stato facile per l’uomo sentirsi sicuro a tutti gli effetti.
Eppure, alla fine, le popolazioni hanno iniziato a sentirsi a casa lì.
Si sono fermate, hanno creato insediamenti, hanno dato vita ad una lunga progenie.
E, soprattutto, hanno dato origine a delle storie.
Re, regine, orrendi orchi e orchesse, strani sortilegi.
I loro racconti si arricchivano sempre più di personaggi e di vicende. Davanti al fuoco, questi venivano tramandati alle future generazioni, così che la memoria non svanisse.
Tuttavia, il tempo non fu clemente come lo era stata quella grande isola ospitale.
Passarono i secoli e la memoria collettiva parve destinata a sparire per sempre. Che ne sarebbe stato di tutti quei racconti?
Il tempo avrebbe davvero cancellato ogni cosa?
Fortunatamente no.
Fu grazie al recupero di quelle antiche storie da parte di studiosi, decisi a non lasciare che un tale patrimonio andasse perduto, che il libro che sto per presentarvi esiste.
È solo grazie a ciò se la raccolta di “Fiabe Islandesi” è giunta fino a noi.
La fiaba, molto più che una semplice storia
Solinga mi chino sul guanciale
orbata ormai d’ogni gaiezza;
il senno ha perso il mio sodale
un’estate durò la mia pienezza.
Di un’altra s’appaga colui che amo:
di me meschina non ode più il richiamo.”
-“Fiabe Islandesi”; Iperborea.
Reperire parole affidate al vento non è un’impresa facile.
Il percorso a ritroso che si deve compiere è arduo e spesso vi s’incontrano grandi vuoti, grandi falle che sembrano impossibili da colmare. Esse costituiscono macchie indelebili sulle pagine della memoria e, se ci si concentra solo su loro, l’oblio sembra essere l’unica fine.
Eppure, non è su di loro che va riposta tutta l’attenzione.
Una vasta quantità di fiabe è riuscita a sopravvivere al tempo, alle bocche di coloro che le hanno narrate e sono riuscite a giungere fino ai nostri giorni. Sono loro che hanno permesso agli islandesi – come a tante altre popolazioni – di mantenere una propria identità, un proprio passato.
Sono le fiabe che hanno permesso al filo che li unisce con i loro antenati di non spezzarsi.
Sì, perché una fiaba è molto più che una semplice storia.
Attraverso le immagini di magnanimi sovrani, valorosi guerrieri, astuti contadini e audaci fanciulle, gli islandesi non si sono limitati ad intrattenere i più piccoli, ma si sono impegnati a materializzare i loro timori. Per esorcizzare una paura, è necessario affrontarla a testa alta.
Ecco perché quegli uomini hanno traslato i loro dubbi e le loro insicurezze nelle storie che raccontavano. Attraverso la vittoria dei protagonisti hanno potuto avere la loro rivalsa.
Si sono sentiti vincitori anche loro.
Eppure, non è soltanto questo ciò che rende speciale una fiaba.
La sua magia risiede nel canale adibito alla sua divulgazione.
La trasmissione orale di una fiaba non è la sua rovina – in quanto la rende soggetta a perdersi nel tempo – ma è la sua ricchezza. Una fiaba non passa di generazione in generazione immutata e incorrotta, ma muta.
Essa cambia e si fa portavoce dei sentimenti di chi la racconta.
Carattere, passioni, paure e pensieri.
Cambiando questi – da persona a persona, da narratore a narratore – cambia anche la storia.
Ecco perché, nonostante le fiabe non ci siano giunte così com’erano al principio, non hanno perso la loro validità e il loro valore.
Le fiabe si sono fatte testimoni del passaggio dell’uomo sulla terra e del suo evolversi di società in società.
Fiabe di figli malvagi, figli prediletti e punizioni
“Dimmi specchio, specchio mio dorato,
Vilfríður Völufegri si trova in quale stato?
E lo specchio le rispose:Vive, vive Vilfríður la tua figlioccia,
l’allevano due nani in una roccia.”
-“Fiabe Islandesi”; Iperborea.
È facile individuare una sorta di categorizzazione delle fiabe.
In gran numero sono quelle di matrigne e parenti malvagi, tante quelle con figli prediletti o ripudiati di re e contadini. Ancor più se ne contano di storie aventi ricompense per chi ha svolto una buona condotta e atroci punizioni per chi è stato disonesto.
Ma, in mezzo a tanta morale, ci sono anche diverse fiabe comiche.
Ognuna ha la sua importanza e, in ciascuna, il lieto fine è assicurato.
Ciò che si riscontra immediatamente leggendo le diverse fiabe nella raccolta è che la scelta dei nomi è altamente limitata.
Tutti i figli maschi e le figlie femmine dei contadini hanno tre o quattro nomi che si ripetono, venendo usati a rotazione. Anche personaggi di più alto rango possiedono nomi simili, se non uguali, di storia in storia.
Eppure, anche se ad un primo sguardo le storie sembrerebbero tutte uguali, ognuna si svolge con dettagli diversi dall’altra.
I personaggi si mescolano, come in un mazzo di carte, per venir pescati di volta in volta e andare a comporre la prossima fiaba.
Troll, orchi e creature mostruose non mancano quasi mai, mentre più rara è l’apparizione delle creature del popolo nascosto. Gli elfi, ad esempio, non figurano nello stesso numero con cui compaiono i troll, pur essendo parte dell’immaginario comune a cui facciamo riferimento pensando a tali storie.
In ogni caso, le prove che gli eroi delle diverse fiabe devono affrontare non si limitano al dover combattere tali creature – sì, perché gli appartenenti al popolo nascosto sono quasi sempre ostili nei confronti dell’uomo – ma, con più frequenza, a dover risolvere difficili enigmi.
I sortilegi sono all’ordine del giorno in quel mondo fantastico e, per poterli spezzare, i nostri eroi dovranno compiere imprese impossibili e lungi da qualsiasi logica. Riusciranno a coinvolgere un pubblico distante centinaia di secoli dal loro?
“Fiabe Islandesi” – patrimonio d’un popolo antico
“Vieni Mærpöll da me,
vieni, alleata mia,
vieni, fanciulla bionda,
a posarti su erica o su fronda;
se in vece tua io piangerò
sai che mai oro strillerò.”
-“Fiabe Islandesi”; Iperborea.
Voce di popoli antichi in terre lontane.
Il tempo e la distanza ci separano da loro, ma l’umanità ci accomuna.
Le paure, le insicurezze, i sogni e i timori sono uguali per tutti, in ogni tempo e in ogni spazio. L’origine di ciascuno di essi può cambiare da persona a persona, ma ciò che proviamo alla fine è lo stesso per ogni essere umano.
Storie assurde, incredibili e – talvolta – raccapriccianti danno forma concreta a tutte quelle emozioni e finiscono per trasformarsi in fiabe. Fiabe brevi, lunghe, divertenti o spaventose.
Ce ne sono di tutti i generi e per tutti i gusti.
La bellezza delle “Fiabe Islandesi”, edite dalla casa editrice Iperborea, sta dunque nel voler ridare importanza a racconti passati, ma che nei loro insegnamenti hanno tanto di contemporaneo.
Infatti, non solo principi o re sfidano la sorte e ottengono il successo – se meritato – ma anche intrepide fanciulle!
Numerose sono le donne in questa raccolta che si mettono in gioco in prima persona pur di risolvere la situazione. Una in particolare sfida l’idea maschilista che solo gli uomini possano godere di certi privilegi e, con sicurezza, domanda al re del suo regno se anche lei avrà diritto alla ricompensa pattuita in caso di vittoria nell’impresa.
È un mondo magico e fantasioso quello delle fiabe, ma cela in sé la voce dell’umanità, pronta a sfidare a testa alta l’ignoto pur di uscirne vincitrice.
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Buona lettura, che i venti del nord possano portare con loro le parole dei popoli antichi.