Recensione: “La risalita di Colapesce” – miti e leggende riaffiorano
Oggi vi invito a scoprire “La risalita di Colapesce“, un romanzo distopico di Giuseppe Staiti in cui miti e leggende prendono vita!
«Quando sei nato? Cosa ricordi della tua infanzia?»
«Non ricordo niente, lo hai detto anche tu.»
«Già, eppure qualcosa dovresti ricordare, e invece niente, come mai? Questo perché tu e io, Orione, e tutti gli altri esistiamo da sempre. Siamo stati creati ma non sappiamo più da chi, esistiamo in questo mondo, ne abbiamo visti finire e ricominciare tanti altri, ma saremo sempre qui…per questo ci chiamano leggende.»
– “La risalita di Colapesce”; Giuseppe Staiti.
Trinakria. L’isola in cui “si cunta e s’arricunta”
La Terra è piena di isole.
Se ne contano infinite piccole e cinque gigantesche – i continenti.
Incredibilmente, tra tutte queste, ne esiste una il cui suolo è stato calpestato da quasi tutti i popoli e che, in seguito a ciò, si è arricchita di innumerevoli storie e usanze.
Si tratta di un’isola che nella sua conformazione tanto varia rispecchia la diversità delle culture che l’hanno attraversata. In essa ci si ritrova ad osservare le morbide acque del Mar Mediterraneo, che con dolcezza cullano la costa, mentre si resta seduti sulla candida neve dell’Etna. In essa si trovano zone rigogliose, verdi e vitali, ma anche lunghe e brulle distese rocciose.
Infine, in essa esistono piccoli paesini tra le cui stradine è possibile udire il susseguirsi di antichi racconti, tramandati oralmente e mai dimenticati.
E in quest’isola, in cui “si cunta e s’arricunta” – “si racconta e si continua a raccontare” – c’è una leggenda in particolare il cui protagonista non potrà mai essere scordato, perché è grazie a lui che Trinakria non affonda. È grazie a lui se la Sicilia resta ancora al suo posto.
È tutto grazie a Colapesce.
Nicola di Messina, detto “Colapesce”
È risaputo che l’uomo – inteso come essere umano – sia fatto per il 70% di acqua.
Dunque, l’acqua è forse l’elemento con il quale ognuno di noi dovrebbe sentire più affinità, più vicinanza. È possibile che qualcuno senta un legame davvero particolare con essa e che, per tanto, sia costantemente spinto ad avvicinarvisi.
Sono sicura che tra voi lettori ci sia chi corrisponde a tale descrizione.
Eppure, al contempo, sono certa che nessuno raggiunga lo stesso apice di unione che esiste tra il mare e un giovane ragazzo messinese passato alla leggenda con il nome di “Colapesce”.
Sì, perché Nicola amava così tanto immergersi tra le onde del mare – ed era talmente bravo a muoversi sott’acqua – da arrivare a guadagnarsi quel soprannome. Il fondale marino lo affascinava talmente tanto che non ne era mai sazio, che desiderava scrutarne tutti gli anfratti per scovare tesori nascosti e meraviglie mai viste.
Cola, che era figlio di un pescatore, non avrebbe desiderato far altro nella vita.
E, presto, fu accontentato.
Il mistero nascosto sotto al mar di Sicilia
La nomina di Colapesce giunse fino alle orecchie dell’imperatore Federico II di Svevia che, recandosi personalmente dal giovane, decise di metterlo alla prova gettando sul fondo del mare svariati oggetti che Cola avrebbe dovuto recuperare. Dopo aver fatto riemergere diversi elementi, Nicola si tuffò nuovamente alla ricerca di un anello dell’imperatore, ma dopo quell’ennesimo salto tra le onde non emerse mai più.
Se pensate che Cola sia affogato vi sbagliate di grosso.
Il nostro eroe si era imbattuto in un mistero ben più grande di quelli scovati fino a quel momento e, dinnanzi a esso, aveva ben preferito restare sotto al mare che toccare nuovamente terra.
Di quale mistero si trattava?
Di niente poco di meno che delle colonne che sorreggevano la Sicilia. O di ciò che ne restava.
Proprio così, non restava che una sola colonna a farsi carico del peso di Trinakria e Cola non poteva lasciare che si spezzasse anche quella. È per questo che decise di restare.
È per questo che, ancora oggi, Colapesce sostiene l’ultimo pilastro restante che evita l’inabissarsi della splendida Sicilia.
Si tratta di un gesto onorevole e altruista, quello compiuto da Nicola. Ma, d’altronde, riuscite ad immaginare ciò che l’assenza di tale atto comporterebbe?
Cosa succederebbe se una gigantesca isola come quella perdesse il suo sostegno?
È esattamente quello che Giuseppe Staiti, autore di “La risalita di Colapesce”, si è domandato.
E nel suo libro vi ha trovato la risposta.
Il prezzo da pagare per essere immortali
«Sono punti di vista: io sono al mio posto e di certo non per scelta mia, ma a noi leggende non è dato godere di un posto fisso, di un preciso dove e quando.»
«Forse è questo il prezzo che paghiamo per essere immortali.»
«Esatto, gli uomini vanno e vengono e hanno una storia, un passato, una casa e una famiglia che li definiscono, ma dalla quale non potranno mai affrancarsi. Le leggende, invece, non dipendono da nessuno, neanche da un senso univoco, siamo materia grezza al servizio di chi ci narra. Patrimonio di tutti, non abbiamo una vita da poter dire esclusivamente nostra. Questa è l’immortalità.»
– “La risalita di Colapesce”; Giuseppe Staiti.
La bella Trinakria è perduta.
Caos, illegalità e malcontento sono all’ordine del giorno in una terra abbandonata al proprio destino.
Ma chi le ha portato tale destino?
Proprio il nostro Colapesce, nella sua ascesa verso la terra ferma.
Lasciando il suo posto sul fondo del mare, Cola ha dato vita ad un cataclisma devastante, che ha stravolto la solare e vivace faccia di Trinakria. Ora, essa, è popolata dalle infinite leggende che caratterizzano il territorio e che, dopo il cataclisma, sono alla ricerca di se stesse e del loro posto nel mondo.
Ma non sarà tanto facile per loro riuscire a trovarlo.
Non lo sarà, perché ognuna di loro sente gravare sulle proprie spalle il peso dell’immortalità, quel senso di infinito che tanto affascina e tanto spaventa. È una condizione, la loro, che ricorda molto il male di vivere decadentista, nato dal senso di rigetto nei confronti della società.
E così è anche nel caso delle nostre leggende. Esse hanno preso coscienza della ciclicità delle loro “vite”, prive di scelte autonome e di novità. Sono vite, le loro, che esisteranno per sempre nella mente degli uomini e che, per tanto, saranno per sempre confinate alla monotonia del loro stesso racconto.
Talvolta, qualcuno potrà anche decidere di apportare delle varianti alle loro storie, ma ciò non costituisce fonte di gioia per le leggende: sanno di essere eternamente in balia della narrazione umana, soggette al volere di chi decide di raccontarle.
E in un mondo distopico come quello nel quale ci troviamo con “La risalita di Colapesce” la lotta delle leggende per un futuro diverso, un futuro nuovo è più ardua che mai.
Ma la loro determinazione – e disperazione – basterà a fargli ottenere una parvenza di mortalità?
Basterà a farli avvicinare alle gioie infinitamente grandi che un mortale riesce a provare sapendo di avere i giorni contati?
“La risalita di Colapesce” – un viaggio di riflessione
«In fondo non è questo il fascino eterno dei miti? Essere il bisogno primordiale dell’uomo di raccontarsi una storia. Non una favola, o una cronaca, ma la Storia. La vita dell’umanità.»
– “La risalita di Colapesce”; Giuseppe Staiti
Dando voce alla crisi esistenziale di esseri eterni e immortali – quali le leggende –, Staiti riesce a portare noi mortali ad un inaspettato livello di riflessione sul valore delle nostre vite.
Pagina dopo pagina, il lettore si ritrova sempre più coinvolto nelle vicende che riguardano i nostri eroi e finisce per provare una forte empatia nei loro confronti senza neanche rendersene conto.
È nei momenti di maggiore sconforto dei protagonisti che si percepisce una strana sensazione in fondo al cuore. È in quei momenti che si finisce per osservare la vita umana con occhi diversi.
Con gratitudine.
Sì, perché quando ci si trova faccia a faccia con figure immortali che tanto invidiano le emozioni che solo chi sa di dover lasciare questo mondo può provare, ci si sente felici di poter godere anche della minima sciocchezza. Perché è da quell’apprezzamento che nasce la consapevolezza di poter vantare una vita in costante mutamento e aperta alle nuove possibilità.
Vita che una leggenda non può che sognare dalla monotonia della sua immortalità.
“La risalita di Colapesce” è questo e molto più: è un ode all’identità siciliana, al suo peculiare dialetto – che si ritrova utilizzato diverse volte nel corso dell’opera – ed è un viaggio di riflessione che tutti dovrebbero compiere.
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Fatemi sapere cosa ne pensate di quest’opera lasciando un commento qui sotto. “La risalita di Colapesce” è ambientato nella mia terra natia e, in quanto tale, mi sta molto a cuore scoprire quale sia il vostro parere in merito!
Vi auguro un buona lettura, che la vostra risalita insieme a Colapesce finisca per essere leggendaria!